L'educazione interculturale

 

Il mondo in cui viviamo è caratterizzato da consistenti flussi migratori e l’ottica interculturale costituisce una prospettiva fondamentale per affrontare le relazioni politiche, sociali e culturali che si stabiliscono fra autoctoni e immigranti. Essa conduce a riflettere su teoria e pratica e sollecita il gruppo maggioritario ad una evoluzione culturale analoga a quella richiesta alle minoranze.  Grazie alla pedagogia interculturale si possono rileggere i saperi insegnati ed appresi nelle istituzioni educative, individuando le strategie efficaci per promuovere la costruzione di una relazione positiva fra soggetti diversi e permettere un inserimento attivo degli allievi stranieri.

Cultura, linguaggio, comunicazione

Qualsiasi gruppo o società costituisce e condivide un modo di organizzare l’esperienza e una guida al comportamento per i membri di quel gruppo, questo insieme condiviso di significati, costumi, norme, che vengono a costituire lo stile di vita di una data società, viene contraddistinto con il termine di cultura.

Ogni società seleziona le caratteristiche che andranno a comporre la propria cultura ed il linguaggio è uno dei mezzi di selezione che produce diversità fra i significati assegnati allo stesso evento. Secondo la tesi della relatività linguistica (Safir, Whorf), è il linguaggio a determinare modi di pensiero, motivazioni e modelli culturali, influenzare le strutture sociali e condizionare i significati che possono essere creati e trasmessi. Nell’interazione verbale con i genitori, il bambino non impara solo il linguaggio ma anche la rilevanza attribuita da una cultura ai vari aspetti del sistema sociale. Vygotskij considera il linguaggio come un fattore funzionale allo sviluppo cognitivo: il pensiero è mediato dal linguaggio interiore in quanto l’uso del linguaggio trasforma la precedente organizzazione senso motoria e conduce a nuove forme di organizzazione cognitiva.

L’individuo può anche essere considerato come membro di uno o più sistemi relazionali: gli effetti della comunicazione all’interno di questi sistemi sono oggetto di studio della “pragmatica”. Studiare la pragmatica della comunicazione umana (Watzlawick) significa studiare gli effetti della comunicazione sul comportamento. Essa può essere applicata a tutte le relazioni interpersonali possibili e contribuire alla comprensione ed allo studio dei comportamenti sintomatici di disadattamento scolastico o di problemi nella comunicazione interculturale che ostacolano l’interazione e generano conflitto. Si possono utilizzare metodi basati sulla pragmatica della comunicazione umana per cambiare o far scomparire comportamenti sintomatici  e cercare un modello comunicativo interculturale efficace.

Etnocentrismo, tolleranza, rispetto

Le differenze tra gruppi, popoli e culture esistono e vanno accettate, è compito della scuola favorire l’incontro, l’integrazione e la gestione delle differenze fra alunni. Se l’etnocentrismo è l’atteggiamento preconcetto secondo cui si ritiene che il proprio gruppo sia il centro di tutte le cose e che tutti gli altri gruppi debbano essere valutati rispetto ad esso, l’educazione interculturale si propone di insegnare a prendere in considerazione punti di vista diversi dai propri, riducendo pregiudizi e stereotipi, promuovendo uno sguardo critico sulle culture che aiuti a combattere gli aspetti etnocentrici.

Una delle parole chiave è “tolleranza” intesa non come sopportazione, ma come atteggiamento teorico e pratico di chi rispetta le convinzioni altrui, anche se diverse dalle proprie, e non ne impedisce la pratica estrinsecazione. Secondo Umberto Eco, che affronta il tema delle differenze e della tolleranza, uno dei valori di cui la civiltà occidentale parla molto è l'accettazione delle differenze. Ma come si fa a insegnare l'accettazione della differenza? Anzitutto non affermando che tutti siamo uguali, ma dicendo ai bambini che gli esseri umani sono molto diversi tra loro, e spiegando in che cosa sono diversi, per poi mostrare che queste diversità possono essere una fonte di ricchezza. Eco afferma che il parametro della tolleranza della diversità è uno dei più forti e dei meno discutibili, noi dobbiamo giudicare matura la nostra cultura solo se sa tollerare la diversità, e barbari gli appartenenti alla nostra cultura che non la tollerano.

Ma al concetto di tolleranza si aggiunge un nuovo e forse  più significato concetto, quello del rispetto. Howard Gardner parla di “respectful mind” nel suo libro “Cinque chiavi per il futuro”, e definisce l’importanza dell’educazione nella costruzione delle abilità utili per affrontare il futuro. Solo la persona dotata di queste cinque mentalità, sarà attrezzata per affrontare quello che ci aspetta e ciò che non è possibile prevedere. Fra queste mentalità vi è quella rispettosa (the respectful mind), che accetta le differenze fra gruppi  e individui, non le ignora, non si infiamma, non le annulla attraverso l’odio o l’amore, ma semplicemente impara a vivere con loro. E’ un modo di pensare ed un atteggiamento per il futuro, il primo che dovremmo cercare di sviluppare nei bambini e chiedere a noi stessi.

Convivenza e conflitto

Sul tema della complessità del mondo in cui viviamo e della qualità della convivenza fra gruppi culturali diversi, alcuni studiosi individuano  la necessità di elaborare nuovi patti che, senza rimuovere il conflitto,  ne prendano atto. “Elogio del conflitto” di M. Benasayag e A. Del Rey ci mette di fronte alla necessità di elaborare il conflitto in maniera pragmatica. Il presupposto è che la nostra società cerca di rimuovere il conflitto ma questa rimozione produce nuova violenza. La cultura moderna ha progressivamente messo l’uomo al centro e ha cominciato a credere nel suo progresso come perfezione dell’umanità, con la necessità di rimuovere miseria, ignoranza e malattie. Ma la nostra generazione ha fallito il suo obbiettivo e lasciamo ai giovani un mondo pieno di minacce, di scontri, di ansie, in cui devono imparare a vivere, inventare le possibilità di uscita, di futuro, di inserirsi nel mondo.

In "Elogio del Conflitto", gli autori propongono appunto di elogiare il conflitto, ascoltando una saggezza antica secondo la quale il conflitto è il  padre di ogni cosa. Il conflitto non è lo scontro, è una realtà molto più profonda e indefinibile, nella quale ogni totalità  è fatta di elementi in tensione gli uni con gli altri. E’ l’intolleranza nei confronti del conflitto a generare violenza, perché il conflitto  è una pura espressione di molteplicità in divenire e la conflittualità fa nascere molteplici legami sociali. Occorre abbandonare il pensiero di una soluzione  dei conflitti ed essere consapevoli che non c’è la soluzione di tutti i problemi. E’ necessario mediare i conflitti non per evitarli o per risolverli. Non dobbiamo distinguere tra “società buona” e coloro che sono in conflitto con questa società, ma accettare di essere nella società insieme a tutti gli altri, quindi insieme ai conflitti.

Integrazione e scuola

La scuola italiana ha seguito all’inizio un orientamento "assimilazionista" in base  al quale, nel processo di integrazione, si favoriva la cultura nazionale e ponevano in secondo piano gli apporti culturali degli alunni immigrati. Oggi, si tratta invece di  portare a compimento una decisa scelta interculturale, favorendo la possibilità che alunni provenienti da culture diverse, con i loro contributi linguistici, culturali, religiosi, possano dialogare e vivere un confronto dinamico e una reciproca trasformazione.

Attualmente (C. M. n. 24 del 2006), per integrazione  si intende un processo bidirezionale che prevede diritti e doveri non tanto per gli immigrati quanto per la società che li accoglie ed interviene, cercando di ridurre la disuguaglianza delle opportunità educative. In questo senso, la scuola rappresenta il luogo di contatto ed incontro tra soggetti portatori di istanze culturali differenti, dove si pratica la convivenza e che aiuta ad attraversare paure e conflitti, accettando la diversità e la legittimità di un punto di vista diverso. Una scuola aperta alle differenze di provenienza, genere, livello sociale, che adotta la prospettiva interculturale, in cui diversità e pluralismo sono parte della sua stessa identità.

L’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale, presso il MPI, ha messo a punto nel 2007 un documento dal titolo “la via italiana alla scuola interculturale” in cui la diversità è assunta come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze. L'obiettivo di adottare la prospettiva interculturale promovendo il dialogo e il confronto tra culture e le strategie proposte, non riguarda solo l'integrazione degli alunni immigrati o misure compensatorie di carattere speciale, ma anche insegnare in una prospettiva interculturale integrando le competenze degli insegnanti, la creatività delle autonomie scolastiche, la collaborazione con gli Enti Locali, per arrivare infine ad approfondire i contenuti stessi del sapere.

Per approfondire:

E. Sapir, Il linguaggio, introduzione alla linguistica, Einaudi, Torino, 1969

E.  Sapir, La lingua, in Cultura, linguaggio e personalità, Einaudi, Torino, 1972

B. L. Whorf, Linguaggio, pensiero e realtà, Boringhieri, Torino, 1970

P. Watzlawick, J. H. Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana Astrolabio, Roma, 1971

L. Vygotskij, Lo sviluppo psichico del bambino, Editori Riuniti university press, Roma, 2011

H. Gardner, Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli, Milano, 2007

M. Benasayag e A. del Rey, Elogio del conflitto, Feltrinelli, 2008

R. Pititto, Genesi e sviluppo del linguaggio infantile: Il contributo di J. Piaget e di L. S. Vygotskij 

U. Eco, Le guerre sante passione e ragione, in repubblica.it

http://www.tolerance.kataweb.it/ita/

http://www.howardgardner.com/

http://www.bdp.it/intercultura/index.php

http://www.istruzione.it/web/istruzione/intercultura

http://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2006/cm24_06.shtml

http://archivio.pubblica.istruzione.it/news/2007/allegati/pubblicazione_intercultura.pdf